lunedì, giugno 02, 2008

Il Colibrì e il Colore degli Uccelli



Questa leggenda fa parte del patrimonio culturale degli indios Calchaquì, che furono sottomessi dagli Incas. Gli Incas riunirono le credenze mitologiche di varie tribù dell'impero ed i conquistadores spagnoli poterono così raccogliere diverse versioni sugli stessi dei.

Il dio supremo era Virococha; che non sembra però fosse il dio del popolo comune, ma piuttosto una divinità venerata dai nobili e dai sacerdoti.

Il popolo invocava più spesso il dio Inti (il dio Sole) e la dea Mammaquilla (la dea Luna), dei quali si parla nel seguente racconto.


IL COLIBRÌ E IL COLORE DEGLI UCCELLI

Attraverso i campi, per la foresta e nelle valli corse subito la voce: "Domani ci sarà la grande assemblea. Domani nessuno deve mancare"

Da un albero all'altro, di ramo in ramo, di nido in nido, volavano gli uccelli a trasmettere la notizia. Dovevano riunirsi per trattare un affare molto importante… Il problema incominciò quando il colibrì, guardandosi le piume, sospirò:

"Come sarebbe bello avere le piume del colore dei fiori!… "

Tutto ciò accadde, naturalmente, molto ma molto tempo fa, nessuno sa quando, perché ancora non c'era un solo uomo sulla terra; quando ciò accadde gli uccelli avevano tutti lo stesso colore: il colore della terra.

Invece i fiori!… Che colori vivaci avevano!… rosso, giallo, azzurro…

Colori così diversi e lucenti che gli uccelli se n'erano innamorati.

Per questo, quando il colibrì disse: "Che bello se io avessi le piume del colore dei fiori", tutti gli altri uccelli cominciarono a pensare:

"Se io fossi rosso…"
"Se io fossi azzurro…"
"Se io fossi giallo…"
"Io vorrei avere tutti i colori…"
"Io rosso, azzurro e giallo. "
"Io, verde. "

"Come sarebbe bello! "

Ci fu un tale pigolio e cinguettio di voci confuse che non si capì più niente. La civetta allora disse tre volte: "Cist! Cist! Cist!" Tutti zittirono.

"Faremo una riunione" disse strizzando un occhio "e decideremo il da farsi. Domani, tutti qua" continuò strizzando l'altro occhio.

Il giorno dopo tutti gli uccelli giunsero al bosco. Il pappagallo, il fringuello, la cutrettola e il canarino. Il cardinale, l'arara, l'usignolo e la monachella. Il picchio, la cocorita e l'uccello mosca col pettirosso e l'uccello muratore e il merlo e il tordo. Poi molti, molti ancora. C'erano tutti, nessuno mancava.

Si diffuse subito un tale cicaleccio che non si capiva più nulla.

Come avrebbero fatto a dipingere le loro piume? Dove trovare i colori? Alcuni dicevano una cosa, altri un'altra.

Quand'ebbero espresso la loro opinione la civetta allora disse tre volte:

"Cist! Cist! Cist!" e tutti zittirono.

"Abbiamo deciso che la cosa migliore è metterci in viaggio verso il cielo per chiedere al dio Inti, il Sole, la grazia che dipinga le nostre piume come dipinse i fiori" disse socchiudendo tutti e due gli occhi.

La proposta fu approvata da tutti: era senz'altro la decisione migliore. Come mai non ci avevano pensato prima?

Sprizzavano di gioia sognando già gli splendidi colori, e cominciarono a prepararsi per il viaggio. Sarebbe stato un viaggio difficile, molto lungo… è così lontano il cielo!

All'alba, prestissimo, partirono tutti. O meglio, tutti no. Alcuni rimasero perché il loro colore della terra non era poi tanto brutto, e a qualcuno piaceva. Anche il colibrì rimase: piccolo com'è, non poteva volare così in alto.

"Non importa" disse "andate voi, io resterò qui a giocare coi fiori perché non si sentano tristi per la vostra lontananza."

E così spiccarono il volo; e volarono, e volarono, volarono sempre più in alto fino a stancarsi le ali. Ma continuavano lo stesso a volare, senza fermarsi mai.

Fu allora che il dio Inti, sbirciando da dietro una nuvola, li vide salire affannosamente per giungere a lui. Impietosito pensò:

"Poveri uccellini! Il loro desiderio è giusto e molto bello. Ma non potranno mai giungere fino a me. Non ne avranno la forza e il mio calore li ucciderà."

Allora la dea Mammaquilla, la Luna, gli sussurrò:
"Perché non li aiuti, potente Inti?"
"Lo farò" rispose il Sole.

Riunì alcune nuvole sparse e diede loro l'ordine di piovere.

La pioggia cominciò.

Gli uccelli, spaventati, si lamentavano della triste sorte.

"Adesso, cosa facciamo? " "Siamo così stanchi!… "
"La terra è già lontana! " "E il cielo è più lontano ancora…"

Ma Inti, in quel momento comandò che la pioggia cessasse e, aprendo un focherello tra le nubi, mandò qualcuno dei suoi raggi. Fu come un prodigio. Ciò che allora videro gli uccelli era così bello che stentarono a crederci.
Un grande arco attraversava il cielo: un arco di sette colori che incominciava qui, percorreva il cielo con una curva perfetta e terminava là, dall'altra parte.

Sì, quello era più bello di tutti i colori dei fiori. Quello era il colore del cielo! Gli uccelli impazzivano di gioia: volavano di qua e di là inzuppandosi dei colori dell'arcobaleno come in un bagno di magia, alcuni si vestivano d'azzurro, altri di rosso, altri di giallo; altri ancora passavano dal rosso all'azzurro, dal giallo all'arancione o dal verde al viola. Uno solo, quasi ubriaco, attraversò tutti i sette colori; per questo ancora oggi si chiama sette"colori. C'era chi intingeva il corpicino in un colore e il capo nell'altro; chi si spruzzava solo alcune piume di qua, altre di là…

Non s'era mai vista una cosa simile.

E il dio Inti sorrideva, sorrideva.

Al ritorno la gazzarra fu generale: cantarono e ballarono sette giorni in onore del dio Sole e della dea Luna.

Tutti fecero festa; anche i passeri e gli altri uccelli rimasti del colore della terra.

E il colibrì? Anche il colibrì. Perché i fiori, riconoscenti della sua compagnia, gli avevano regalato un poco del loro colore. Per questo ha colori così delicati, sfumati e cangianti; ma è tanto piccolo e mobile che noi appena possiamo notarli.

Come dicevamo la festa durò sette giorni, cioè fino a quando la civetta, per tre volte, sentenziò:

"Cist! Cist! Cist!"

E strizzando prima un occhio e poi subito l'altro disse: "È già ora di andare a dormire."